CORONAVIRUS, la speranza di guarigione si chiama Remdesivir

Remdesivir, è questo il nome del farmaco che sarebbe in grado di debellare il Coronavirus Cobiv-2019, di cui si contano 80.980 casi. Attualmente il coronavirus viene trattato con dei farmaci antivirali, tra cui il Remdesivir, originariamente sviluppato per combattere il virus Ebola, che tra i medicinali testati sembra essere quello che ha dato i risultati più promettenti. L’azienda produttrice, Gilead Sciences, è una società americana di biotecnologia che ricerca, sviluppa e commercializza farmaci.

La ricerca effettuata dall’azienda si concentra principalmente sui farmaci antivirali utilizzati nel trattamento dell’HIV, dell’epatite B, dell’epatite C e dell’influenza, tra cui Harvoni e Sovaldi.

Il farmaco è in fase di test in Cina, a Wuhan, il centro dell’epidemia e sarebbe stato utilizzato anche per curare i pazienti dello Spallanzani, la coppia cinese e il paziente italiano.

Remdesivir è stato utilizzato anche nella cura del primo paziente coronavirus negli USA. L’uomo è stato ricoverato in ospedale nello Stato di Washington e i suoi sintomi, dopo la somministrazione del farmaco sono migliorati.

Si tratta di un farmaco, però, ancora in fase sperimentale. L’esperienza di alcuni singoli pazienti non rappresenta prova certa in campo medico. E i risultati delle somministrazioni effettuate a Wuhan sono attesi per aprile.

Nuovi studi clinici sono in corso ed altri inizieranno a breve anche fuori dalla Cina, come si legge sul The New York Times. Attualmente i ricercatori cercando di determinare quali pazienti, il farmaco Remdesivir potrebbe aiutare di più, somministrando il farmaco a persone gravemente ammalate e anche a persone sane.

Un altro studio coinvolgerà 600 pazienti moderatamente malati. Un terzo di questi riceverà il farmaco per cinque giorni e un terzo per 10 giorni. L’ultimo terzo riceverà solo le cure standard.

 

 

SCOPERTO NUOVO ANTIBIOTICO, uccide i batteri più resistenti.

Un nuovo antibiotico ha dimostrato di essere molto efficace contro i più pericolosi e resistenti batteri, responsabili di alcune delle letali e più difficili da trattare infezioni. Ad annunciarlo i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, di Boston.

I ricercatori del team del Mit, per la prima volta utilizzando l’intelligenza artificiale, hanno messo a punto un algoritmo per analizzare in modo estremamente accurato quali tipi di molecole fra migliaia uccidessero i batteri fornendo al programma di calcolo informazioni sulle caratteristiche atomiche e molecolari di una quantità di farmaci e quale la loro capacità di impattare su un batterio comune come Escherichia coli. Una volta messo a punto l’algoritmo, il team del Mit ha calcolato quali composti potessero essere efficaci piuttosto che basarsi su antibiotici esistenti. Una metodologia innovativa: il risultato sarebbe il primo antibiotico prodotto dall’intelligenza artificiale, chiamato ‘Halicin’ in omaggio al supercomputer Hal 9000 del film ‘2001: Odissea nello spazio’.

L’allarme sulla progressiva resistenza dei batteri a diverse famiglie di antibiotici, è stato lanciato da tempo dall’Organizzazione mondiale della Sanità che la ritiene una delle maggiori minacce attuali alla sicurezza sanitaria globale e allo sviluppo. Questa situazione si è venuta a creare sia per un aumento dei microrganismi patogeni divenuti resistenti, sia per una produzione sempre più scarsa di nuovi antibiotici.

Il risultato dello studio del Mit potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova era per la ricerca sugli antibiotici, che negli ultimi anni ha subito un forte rallentamento.

Farmaci e scadenze: il principio attivo perde realmente di efficacia?

L’obbligo di inserire la data di scadenza sulle confezioni di qualsiasi medicinale è stato richiesto dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1979. Questa scadenza rappresenta il limite per ottenere la piena efficacia farmacologica e per garantire la sicurezza del principio attivo.

Nella maggior parte dei casi nessun test specifico è mai stato condotto per verificare la mancanza di efficacia di un farmaco sul paziente dopo la scadenza. Inoltre, non è mai stato offerto alcun incentivo alle case farmaceutiche per ricercare nuove tecnologie che permettano di posticipare tale data.

L’esercito degli USA, che conserva grandi quantitativi di farmaci per uso civile e militare, si è mostrato particolarmente interessato alla questione, in quanto periodicamente enormi quantitativi di farmaci devono essere eliminati a causa della sopraggiunta data di scadenza.

Per verificare l’efficacia del farmaco oltre la scadenza, la FDA ha analizzato l’efficacia di 122 principi attivi di uso comune attraverso il Shelf-Life Extension Program (SLEP), finanziato dal Dipartimento della Difesa statunitense. Dall’analisi è emerso che 9 confezioni su 10 presentano una potenza del farmaco superiore al 90% un anno dopo la data di scadenza riportata sulla confezione.

Che cos’è la potenza di un farmaco?

La potenza di un farmaco è la concentrazione richiesta per provocare una risposta di una certa intensità. Un farmaco molto potente (es. morfina) induce una risposta elevata anche a basse concentrazioni, mentre farmaci meno potenti (ibuprofene) danno risposte minori a basse concentrazioni.

L’analisi della FDA ha enfatizzato come i lotti di farmaci siano stati conservati in condizioni ottimali, specificando come il tempo di stabilità addizionale, successivo alla data di scadenza del farmaco, sia risultato estremamente variabile.

In uno studio più recente è stata analizzata la stabilità del principio attivo nei farmaci scaduti. Sono stati esaminati 8 differenti farmaci, contenti 15 diversi composizioni chimiche, scaduti da un periodo variabile compreso tra i 28 ed i 40 anni.

Ogni farmaco è stato sottoposto ad una rigorosa analisi chimica. L’86% di essi è risultato avere una potenza superiore al 90%; 12 lotti sui 14 scaduti da oltre 28 anni hanno presentato una completa potenza farmacologica.

Due eccezioni rilevanti hanno riguardato l’acetaminophen (potenza del farmaco inferiore del 38% nelle capsule analizzate) e l’aspirina (presenza di principio attivo compresa tra il 4% ed il 10%).

 

FARMACI GENERICI E DI MARCA: DAVVERO NON CI SONO DIFFERENZE

Un farmaco generico, detto anche equivalente o bioequivalente, è un medicinale che presenta lo stesso principio attivo, la stessa forma farmaceutica, lo stesso dosaggio e la stessa via di somministrazione di un farmaco di marca non più coperto da brevetto. Dal punto di vista terapeutico, quindi, è equivalente al prodotto di marca e può essere utilizzato in sua sostituzione.

Il farmaco generico è uguale all’originale di marca?

Il principio attivo è lo stesso, ma i medicinali equivalenti possono avere una composizione differente o possono essere stati prodotti con una tecnologia farmaceutica diversa. Nonostante ciò, i farmaci equivalenti sono di pari valore a quelli di marca e non hanno effetti collaterali diversi.

Come si stabilisce l’equivalenza tra farmaco generico e di marca?

Un farmaco di marca è un farmaco brevettato: l’azienda, scoperto un nuovo principio attivo, lo brevetta, dà vita a una specialità medicinale, che non potrà essere commercializzata senza il permesso di chi detiene il brevetto. Scaduto il brevetto, altre aziende, a seguito dell’autorizzazione dell’autorità competente, il Ministero della Salute in Italia, possono commercializzare il medicinale equivalente.

Il parametro per determinare la somiglianza tra farmaco equivalente e ‘‘originale’’ si chiama biodisponibilità del medicinale, che indica la velocità con cui il principio attivo viene assorbito dall’organismo.

Qual è la differenza tra farmaco di marca e farmaco equivalente?

L’unica differenza tra il farmaco di marca e quello equivalente sta nel prezzo: il farmaco equivalente non necessita di spese per studi di ricerca, sicurezza ed efficacia, dunque, ha un prezzo inferiore almeno del 20% rispetto al farmaco di marca.

Obblighi e libertà in farmacia

Il farmacista è tenuto a informare dell’esistenza di un farmaco generico equivalente all’originale, come anche i medici del servizio sanitario nazionale (ssn). Il cittadino deve essere sempre libero di scegliere se comprare l’originale o l’equivalente!

LA GIORNATA DI RACCOLTA DEL FARMACO

Nel 2020 Banco Farmaceutico compie 20 anni e in tale occasione la Giornata di Raccolta del Farmaco, non si limiterà ad un solo giorno, ma si svilupperà dal 4 al 10 febbraio. Una settimana solidale per donare medicinali in sostegno alle situazioni di povertà. In questi giorni, sarà possibile acquistare uno o più medicinali da banco, senza obbligo di prescrizione, in una delle oltre 5.000 farmacie che, in tutta Italia, aderiscono all’iniziativa. I farmaci saranno donati agli enti assistenziali che gratuitamente offrono cure e supporto a chi versa in difficoltà economiche.

Chi è Banco Farmaceutico?

Banco Farmaceutico nasce nel 2000 dalla collaborazione attiva tra Compagnia delle Opere e Federfarma con la volontà di rispondere al bisogno farmaceutico delle persone indigenti mettendo in relazione farmacie, aziende farmaceutiche ed Enti assistenziali che operano capillarmente sul territorio. La prima Giornata di Raccolta del Farmaco è stata realizzata nel dicembre 2000, limitatamente alla sola città di Milano; Banco Farmaceutico ha rapidamente esteso la propria presenza a tutto il territorio nazionale.

Come riconoscere le farmacie che aderiscono?

Le farmacie saranno riconoscibili attraverso l’esposizione della locandina della Giornata di Raccolta del farmaco. La Giornata si concentra sulle categorie di farmaci più utilizzate: antinfluenzali, antinfiammatori e antipiretici.

Perché estendere le attività di raccolta ad una settimana?

L’obiettivo nazionale è di migliorare la raccolta registrata nel 2019. La decisione di estendere le attività di raccolta deriva soprattutto dall’esigenza di rispondere in maniera più efficace al fabbisogno espresso dagli enti che ricevono i farmaci raccolti. Nel 2019, nonostante siano state raccolte 421.904 confezioni di farmaci, è stato possibile soddisfare solamente il 40,5% delle richieste degli enti; dimostrazione che la povertà sanitaria rimane un problema preoccupante e di elevate dimensioni. In Italia ci sono 1,8 milioni di famiglie e 5 milioni di individui che vivono in condizioni di ‘’ indigenza. “

La Giornata è resa possibile da quasi 24.000 volontari e da oltre 15.000 farmacisti, patrocinata dall’Agenzia Italiana per il Farmaco ed organizzata in collaborazione con Cdo Opere Sociali, Federfarma, Fofi, FederchimicaAssosalute, Assogenerici, Federsalus e BFResearch.“

Coronavirus: informazioni e dettagli sul nuovo virus che sta preoccupando il mondo

Si chiama in gergo scientifico “2019-nCoV” ed è, più semplicemente, il nuovo coronavirus, salito alla ribalta delle cronache mondiali di recente, dopo aver fatto la propria comparsa nella città cinese di Wuhan, nell’Hubei, lo scorso 24 dicembre.

Ma che cos’è il virus nato in Cina che sta preoccupando il mondo?

Il suo nome non è molto evocativo: tecnicamente è un Betacoronavirus. Un nome che però rimanda alle precedenti patologie che in passato, per alcuni soggetti, si sono rivelati essere letali, Sars (2002-2003) e Mers (2012). Si tratta di un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie. Sono chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie. I coronavirus umani conosciuti ad oggi, comuni in tutto il mondo, sono sette, alcuni identificati diversi anni fa e alcuni nel nuovo millennio. E sono: 229E (coronavirus alpha), NL63 (coronavirus alpha), OC43 (coronavirus beta), HKU1 (coronavirus beta), e poi i più celebri, MERS-CoV (il coronavirus beta che causa la Middle East respiratory syndrome), SARS-CoV (il coronavirus beta che causa la Severe acute respiratory syndrome) e infine 2019 Nuovo coronavirus (2019-nCoV).

Quali sono i sintomi?

I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale. In particolare: i coronavirus umani comuni di solito causano malattie del tratto respiratorio superiore da lievi a moderate, come il comune raffreddore, che durano per un breve periodo di tempo.

Come si trasmette il virus?

Alcuni coronavirus possono essere trasmessi da persona a persona, di solito dopo un contatto stretto con un paziente infetto. Per evitare di essere contagiati è opportuno seguire alcune regole basilari: il mantenimento dell’igiene delle mani (lavare spesso le mani con acqua e sapone o con soluzioni alcoliche) e delle vie respiratorie (starnutire o tossire in un fazzoletto o con il gomito flesso, utilizzare una mascherina e gettare i fazzoletti utilizzati in un cestino chiuso immediatamente dopo l’uso e lavare le mani), evitare carne cruda o poco cotta, frutta o verdura non lavate ed evitare il contatto ravvicinato, quando possibile, con chiunque mostri sintomi di malattie respiratorie come tosse e starnuti. In particolare, per quanto riguarda il nuovo coronavirus identificato in Cina, si raccomanda di posticipare i viaggi non necessari a Wuhan.

Esiste un vaccino per il coronavirus?

No, essendo una malattia nuova, ancora non esiste un vaccino. La terapia di supporto, basata sui sintomi del paziente, può essere molto efficace.

Che fare se si presentano i sintomi del virus?

In caso di sintomi riferiti a una malattia respiratoria, prima, durante o dopo un viaggio, i viaggiatori devono rivolgersi a un medico e informarlo del loro viaggio.

Combinazione di antibiotici, accelerano la resistenza batterica

Ogni volta che utilizziamo degli antibiotici, i batteri, capaci di resistere alla loro azione, sopravvivono e approfittano dell’eliminazione dei batteri sensibili per proliferare e attaccare altre forme di vita. La resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale che esiste da milioni di anni. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Gerusalemme, pubblicata sulla rivista Science, le combinazioni di antibiotici, usate sempre più spesso nella pratica clinica per aumentare le chance di guarigione del singolo paziente, potrebbero accelerare lo sviluppo delle resistenze batteriche, contro cui la medicina tradizionale sta lottando ormai da anni. Gli antibiotici sono un bene prezioso che si sta esaurendo nel tempo. Affinché la loro efficacia possa rimanere inalterata in futuro è necessario che tutti contribuiscano attraverso un uso corretto e responsabile. Nella pratica clinica succede frequentemente che il medico prescriva 2 antibiotici diversi contemporaneamente o in rapida successione, a distanza di giorni l’uno dopo l’altro. Lo studio israeliano, diretto da Nathalie Balaban, è il primo a dimostrare che somministrare due antibiotici in combinazione allo stesso paziente può favorire lo sviluppo di resistenze batteriche. Anche se nel singolo paziente questo non comporta alcun problema e la combinazione antibiotica risulta efficace, secondo gli scienziati israeliani, questa pratica clinica potrebbe essere pericolosa a livello di salute pubblica, favorendo l’insorgenza di resistenze.

L’uso responsabile degli antibiotici permetterà a tutti di avere sempre a disposizione medicinali efficaci per le malattie batteriche. Al contrario, lo sviluppo di antibiotico-resistenza, conseguente a un uso inappropriato degli antibiotici, mette a rischio la salute di ognuno di noi.

 FARMACI E BAMBINI, ALLARME AIFA

I bambini assumono molti farmaci, spesso non necessari o troppo potenti, e di frequente inappropriati, soprattutto antibiotici e rimedi per problemi respiratori. Un farmaco va preso solo in caso di reale necessità e secondo le indicazioni mediche appropriate.

La denuncia è dell’Agenzia italiana del Farmaco. L’esigenza di sensibilizzare la popolazione a un uso responsabile dei farmaci in pediatria è particolarmente sentita poiché troppo spesso si impiegano nei bambini medicinali autorizzati per l’età adulta, ma a dosaggi ridotti. In pratica si considera il bambino come un piccolo adulto, senza contemplare che il farmaco potrebbe non essere adatto, dal momento che il bambino ha un metabolismo e fragilità differenti. Ed è per questa ragione che quando si tratta di somministrare farmaci ai bambini, è fondamentale controllare costantemente la loro efficacia e i loro effetti collaterali (la cosiddetta farmacovigilanza). Tra gli errori ricorrenti c’è quello di somministrare antibiotici in autonomia, senza consultare il pediatra. Ogni episodio infettivo è infatti diverso da un altro ed è per questo che risulta fondamentale la valutazione del pediatra. La metà dei bambini italiani (il 52%) assume almeno un antibiotico all’anno, contro il 14% dei bambini inglesi.

Altro errore comune è quello di curare ogni problema respiratorio con l’aerosol. Il suo utilizzo, per esempio, è del tutto inutile in caso di raffreddore, otite e tosse. Risulta invece una scelta ottimale negli attacchi asmatici o di broncospasmo. Alcuni genitori tendono ad eccedere per placare le loro ansie.

L’assunzione di un farmaco può portare grandi benefici, ma quando si parla di medicine da somministrare ai più piccoli: non bisogna demonizzare né abusare.

SCOPERTA NUOVA TERAPIA ANTI-INFLUENZALE: IN ATTESA MEGLIO PUNTARE SULLA PREVENZIONE

Nonostante il freddo non sia ancora arrivato del tutto, quest’anno cresce già la diffusione dell’influenza in Italia. E tutti sono già alla ricerca di consigli utili per combattere l’influenza. Riposo, alimentazione corretta e medicinali sono solo alcuni dei rimedi per combattere i sintomi influenzali che ci mettono fuori gioco. Ma quali rimedi sono necessari per guarire? Esistono dei farmaci antivirali specifici, ma vanno riservati solamente a pochissimi casi altamente selezionati.

Una recente ricerca, coordinata da Mark Toots e Richard Piemper dell’Istituto di Scienze Biomediche dell’Università della Georgia, pubblicata su Science Translational Medicine, ha riportato la scoperta di una nuova terapia che sarebbe in grado di debellare e stroncare l’infezione sul nascere. Il medicinale, studiato solo su tessuti dell’apparato respiratorio, lavora sui geni del virus: il farmaco infatti crea dall’esterno una serie di mutazioni nel genoma virale che rendono praticamente impossibile, nel tempo, la normale duplicazione del virus, bloccandone quindi l’avanzamento. L’azione della terapia si concentra su uno specifico enzima, chiamato Dna polimerasi, fondamentale perché si verifichino i diversi passaggi che portano alle continue divisioni del virus che si diffonde all’interno delle cellule, provocando la reazione dell’organismo e quindi i sintomi dell’influenza. Inoltre, sembra che il medicinale riesca ad agire su tutti i tipi di virus e di non risentire della resistenza che i virus stessi tentano di sviluppare. In attesa che gli studi americani confermino l’efficacia di questa nuova terapia nei confronti del virus influenzale, è opportuno puntare sulla prevenzione e forza che il sistema immunitario ha nel difendersi dal virus.

E’ fondamentale, quindi, adottare un’alimentazione sana e assumere spremute, verdure varie e cibi che consentano di fare un pieno di vitamina C. Il consiglio è valido in particolare per chi sottopone l’organismo a stress intensi.

Antibiotici, uso eccessivo collegato al Parkinson

Negli ultimi tempi, si è aperta una discussione che ha animato il dibattito scientifico e che riguarda le possibili condizioni che possono portare al morbo di Parkinson: tra queste condizioni o fattori ci sono alcuni farmaci, come alcuni antibiotici comunemente usati, che contribuiscono all’insorgere della malattia.

Tutto ciò emerge dallo studio pubblicato dai ricercatori dell’ospedale universitario di Helsinki, in Finlandia, su ‘Movement Disorders’; secondo cui, l’uso di antibiotici può aumentare il rischio di malattia di Parkinson.

Le associazioni più forti sono state trovate nel caso degli antibiotici ad ampio spettro e di quelli che agiscono contro batteri e funghi anaerobici. Anche la tempistica dell’esposizione agli antibiotici sembra avere importanza.

Secondo lo studio, l’origine della patologia del Parkinson si ha nell’intestino, con i ‘‘cambiamenti nella flora batterica’’ anni prima dell’inizio dei tipici sintomi motori come lentezza, rigidità e tremore. Si era già riscontrato che la composizione dei batteri dell’intestino nei pazienti con Parkinson fosse anomala, ma la causa non era chiara. La ricerca, condotta dallo studio dei ricercatori dell’ospedale universitario di Helsinki, ha dimostrato che alcuni antibiotici potrebbero essere un fattore che predispone al Parkinson.

Nello studio è stata confrontata l’esposizione agli antibiotici negli anni 1998-2014 in 13.976 pazienti con malattia di Parkinson con 40.697 soggetti di controllo sani, di pari età sesso e luogo di residenza. I risultati potrebbero cagionare limiti sulla prescrizione di antibiotici in futuro. O

ltre alle conseguenze dell’antibiotico-resistenza” e all’emergente diffusione dei superbug, la prescrizione di antibiotici dovrebbe tenere conto anche degli effetti sullo sviluppo di alcune malattie.