Tumore al seno: approvato un nuovo farmaco per le donne in pre-menopausa

La ricerca sul tumore al seno non si ferma, neanche in tempi di pandemia.

L’agenzia italiana del Farmaco ha dato via libero all’uso di ribociclib anche per le donne in pre e peri-menopausa. La terapia è in grado di rallentare la progressione della malattia e il ricorso alla chemio.

Si tratta di un farmaco mirato contro due molecole chiave della replicazione delle cellule tumorali, le chinasi ciclina-dipendenti 4 e 6 (CDK4/6). Fino ad oggi, infatti, la terapia era riservata solo alle donne in post-menopausa.

Il tumore al seno localmente avanzato, inoperabile e metastatico, è la principale causa di morte nelle donne di età compresa fra i 20 e i 59 anni. Nella maggior parte dei casi si tratta di un tumore “ormonale” (HR+ e HER2-). I farmaci inibitori di CDK4/6 si sono dimostrati particolarmente efficaci proprio per questo tipo di carcinoma mammario, perché bloccano la crescita del tumore in due modi diversi ma complementari. Attualmente ribociclib, in combinazione con una terapia endocrina e un agonista dell’ormone di rilascio dell’ormone luteinizzante (LH-HR), è l’unico inibitore CDK 4/6 ad aver dimostrato una sopravvivenza globale significativamente più lunga per le pazienti in pre- e peri-menopausa con tumore al seno “ormonale”.

Ribociclib rientra pertanto nel Fondo dei farmaci innovativi oncologici e viene inserito nei Prontuari terapeutici regionali, accelerando così il tempo in cui le pazienti potranno accedere alla terapia.

Inoltre, Il farmaco non influisce negativamente sulla qualità di vita: rispetto alla sola terapia endocrina, la combinazione ha dimostrato di migliorarla, di ridurre i sintomi di dolore e stanchezza e la frequenza di quelli legati alla terapia. Tutti aspetti particolarmente importanti per le donne in pre o peri-menopausa, ancora nel pieno della loro attività lavorativa e familiare.

 

Covid 19, il virus è recidivo?

Sono ormai diversi i casi di pazienti completamente guariti da Coronavirus che nel tempo sono risultati nuovamente positivi al test. Casi che fanno discutere e preoccupano la popolazione.

Dunque il virus può dare recidive?

Poiché quello attuale è un nemico sconosciuto, gli esperti si guardano indietro e studiano quello che è successo con gli altri tipi di coronavirus. In passato, gli anticorpi prodotti durante l’infezione rendevano il paziente immune per mesi o addirittura anni. Ma sarà così anche con il Covid-19?

Gli esperti non riescono ancora a dare una risposta chiara su come si comporta il nostro sistema immunitario di fronte a Sars-CoV-2. Secondo i ricercatori questo nuovo coronavirus continuerà a circolare in tutto il mondo a ondate, colpendo lo stesso paese più volte. I casi di una seconda, nuova infezione, possono essere dovuti alla persistenza del virus che non viene eliminato del tutto.

I Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie della Corea del Sud (KCDC) hanno pubblicato uno studio sui pazienti guariti dalla COVID-19, che sono risultati nuovamente positivi ai test a giorni o settimane dalla loro guarigione. Secondo la ricerca questi pazienti non sono contagiosi e l’esito positivo dei nuovi test deriva probabilmente dalla presenza di materiale virale ormai inattivo nel loro organismo. Si tratta di uno studio preliminare, basato su un numero relativamente basso di pazienti, ma se confermato ridurrebbe le preoccupazioni sulle presunte recidive da COVID-19 e i rischi di nuovi contagi da persone guarite.

Anche in Italia ci sono stati casi di recidiva. Gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità hanno segnalato che nella maggior parte dei casi queste persone abbiano mantenuto alcune tracce del coronavirus, in una forma ormai non attiva, ma comunque rilevabile attraverso i test.

 

Coronavirus, l’Istituto Superiore di Sanità riassume il corretto uso delle mascherine

Lo stato di emergenza sul territorio nazionale ha scatenato una nuova corsa: quella alle mascherine.

Fino a pochi mesi fa le mascherine erano un semplice strumento di lavoro, previste in un limitato numero di attività professionali e, in alcuni casi, osteggiate dai lavoratori quando venivano imposte a tutela della loro salute.

Ora sono letteralmente sulla bocca di tutti (o quasi) e sono state oggetto di svariate notizie.  Ma sull’uso corretto delle mascherine i dubbi non mancano, anche perché per la maggior parte degli italiani è la prima volta. E guardandosi in giro è chiaro che ancora molte persone non ne fanno un uso corretto!

Quando vanno usate le mascherine?

Secondo l’ultimo decreto del presidente del Consiglio, datato 26 aprile, le mascherine, vanno usate “nei luoghi o ambienti chiusi e comunque in tutte le possibili fasi lavorative, laddove non sia possibile garantire il distanziamento interpersonale”. Questa è la regola minima da rispettare. In alcune regioni sono state, inoltre, introdotte indicazioni più stringenti, come l’utilizzo obbligatorio delle mascherine anche in altri contesti: è consigliato, quindi, leggere attentamente le ordinanze che la propria Regione ha emanato in proposito, generalmente disponibili sui siti delle varie amministrazioni regionali.

Come usare le mascherine in sicurezza?

Il corretto uso delle mascherine è fondamentale per ridurre notevolmente il contagio da Covid-19. L’Istituto Superiore di Sanità ha emanato una guida per spiegare le modalità corrette di utilizzo di questi dispositivi:

-prima di indossare la mascherina, bisogna lavare le mani nel modo raccomandato, vale a dire con acqua e sapone o un gel igienizzante;

-per posizionarla correttamente, e in sicurezza, bisogna “toccare solo gli elastici o i legacci’’ avendo cura di non toccare la parte interna;

-posizionare correttamente la mascherina, facendo attenzione a coprire accuratamente naso e bocca;

-nel toglierla bisogna toccare sempre solo gli elastici, lavare le mani con acqua e sapone o eseguire l’igiene delle mani con una soluzione alcolica.

Nella situazione attuale utilizzare la mascherina è fondamentale per proteggersi e proteggere gli altri. 

COVID-19: EMA accelera lo sviluppo e l’approvazione di medicinali e vaccini

L’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha adottato una serie di procedure accelerate per velocizzare il processo di sviluppo e autorizzazione dei trattamenti contro il Covid-19.
Queste procedure ‘‘rapide’’ sono frutto del piano di emergenza sanitaria attivato nelle scorse settimane in risposta alla pandemia.

La revisione rapida dei medicinali è supportata dalla Task Force pandemica dell’Agenzia (Covid-Etf). La task force sta lavorando a stretto contatto con il Comitato per i medicinali umani (Chmp) dell’Ema per un coordinamento ottimale e rapido delle attività relative allo sviluppo, all’autorizzazione e al monitoraggio della sicurezza di medicinali e vaccini contro Covid-19. Per i prodotti in fase di sviluppo che si trovano ancora nelle fasi iniziali e/o prima della presentazione di una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio, l’Ema ha messo in atto un meccanismo di rapida consulenza scientifica. Fornirà agli sviluppatori un indirizzo su metodi più adeguati a generare dati affidabili: informazioni su sicurezza, produzione e qualità di un prodotto.

Dunque, per le fasi di autorizzazione e post-autorizzazione dei medicinali indicati per il COVID-19 l’EMA potrà avvalersi:
-della procedura di revisione ciclica (rolling review) per valutare i dati di un potenziale farmaco promettente man mano che diventano disponibili;
-di valutazioni accelerate che prevedono tempi di revisione dei medicinali di grande interesse per la salute pubblica ridotti da 210 giorni a meno di 150 giorni.

Le procedure rapide saranno usate anche per estendere le indicazioni di farmaci già approvati per altre indicazioni e riposizionati per Covid-19.