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COVID E VARIANTE INDIANA

Gli effetti della Variante Indiana, ovvero se sia più pericolosa per contagiosità, letalità e resistenza ai vaccini, sono ancora in corso di valutazione. Ma cosa sappiamo di questa mutazione?

L’India sta attraversando il momento più difficile dall’inizio della pandemia: con oltre 300mila contagi e 3mila decessi al giorno.

A contribuire è stata la diffusione di una nuova variante del coronavirus, la variante indiana, per l’appunto, identificata per la prima volta nella seconda metà dello scorso anno e divenuta dominante all’inizio nel Maharashtra e poi anche in tutto il resto del paese.

Variante Indiana del Covid: cosa cambia?

La variante indiana include due mutazioni della proteina Spike, mutazioni che sono già state individuate in altre due varianti. Qualcuno ha ipotizzato che la copresenza di queste due mutazioni, che già attribuivano una capacità replicativa alle rispettive varianti, potesse aumentare la capacità replicativa di questa nuova variante indiana e conferirle una particolare capacità di sfuggire agli anticorpi generati dalle vaccinazioni. Ma quest’ultimo aspetto non è stato ancora provato.

Variante Indiana del Covid: è più contagiosa?

Lo scopo del Coronavirus è quello di eludere l’immunità laddove ci sono molti vaccinati e molti guariti dall’infezione. Il coronavirus Sars-CoV-2 non ha la capacità di replicarsi in tutta la popolazione e per questo motivo deve ‘inventarsi’ qualcosa di nuovo per poter replicare sempre con la stessa efficienza. Così sviluppa queste varianti, per sfuggire alla pressione selettiva imposta dall’immunità. Ma si tratta di varianti talvolta problematiche perché come ci ha insegnato la variante inglese, la madre di tutte le varianti, questa riesce ad infettare di più l’uomo perché aggancia meglio il recettore presente nelle cellule dell’albero respiratorio umano.

Variante Indiana del Covid: i vaccini sono efficaci?

La resistenza ai vaccini deve essere ancora dimostrata. Dai dati iniziali si sospetta una lieve minore efficacia dei vaccini disponibili su questa variante. In base al fatto che sembra diminuire leggermente la risposta degli anticorpi neutralizzanti stimolati dalla vaccinazione, ma non dei linfociti T. Secondo i primi dati da Israele, il vaccino Pfizer-BioNTech è parzialmente efficace contro la variante indiana e anche i primi test di neutralizzazione sul vaccino indiano Covaxin hanno mostrato una buona risposta.

Variante Indiana del Covid: quali sono i sintomi?

I sintomi della variante indiana non cambiano rispetto alle altre varianti del coronavirus Sars-CoV-2; tosse, raffreddore, mal di testa e mal di gola, febbre, dolori muscolari, diarrea, stanchezza e spossatezza, ovvero i primi segnali della presenza del coronavirus nelle persone, sono forse un po’ più forti.

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COVID 19, NUOVE TERAPIE PER COMBATTERE IL VIRUS

Grazie a continui studi sono state identificate alcune terapie contro il COVID-19 efficaci, ed altri approcci stanno dando risposte incoraggianti nel ridurne la mortalità.

Le ricerche per arrivare ad ottenere una pillola da prendere non appena venuti a conoscenza della propria positività al Covid-19 continuano senza sosta.

Il problema è dato dal fatto che il Coronavirus è in continua evoluzione e, come tutti i virus, per riprodursi usa le cellule umane. Trovare un farmaco in grado di agire senza danneggiare il paziente non è facile, specie durante una lotta contro il tempo.

Il momento preciso dell’infezione virale avvia un conto alla rovescia, mentre il virus risveglia gradualmente il sistema immunitario, creando una stretta finestra di tempo dopo la quale un antivirale è probabilmente inutile.

In altre parole, per Sars-CoV-2 possono essere necessari da pochi giorni a due settimane prima che questi processi immunitari si attivino. Questo significa che qualsiasi sperimentazione clinica per un antivirale richiede un design raffinato: i pazienti devono avere infezioni confermate, ma se stanno già sperimentando gravi sintomi di Covid-19, potrebbero essere troppo lontani per trarne beneficio.

Nonostante il percorso sia complicato, la speranza di arrivare ad avere più di un antivirale, anche a breve termine, sembra esserci.

La speranza di Molnupiravir

Il colosso farmaceutico Msd dovrebbe presentare, a breve, i dati di una terapia orale simile a Remdesivir. La società sta arruolando circa 3mila pazienti, sia ospedalizzati che non, in uno studio di fase 2/3 che determinerà se Molnupiravir, questo il nome del farmaco, impedisce ai pazienti con sintomi lievi di sviluppare la malattia grave.

La speranza di Atea Pharmaceuticals

Un altro farmaco, simbolo di speranza, é l’Atea Pharmaceuticals: AT-527 mira a un enzima chiave della replicazione virale, con un approccio simile alla terapia anti-epatite C. Entro la fine dell’anno, Atea prevede di avere i dati di Fase 2 per i pazienti sia ospedalizzati che non, ma sta anche pianificando uno studio di Fase 3 più ampio sui pazienti ambulatoriali.

L’antivirale Pfizer

Anche Pfizer, impegnata nella produzione del vaccino, non ha abbandonato la ricerca per un farmaco anti-Covid. Tale farmaco, che il mese scorso è entrato in fase di studio clinico, prende di mira il fulcro del processo di replicazione del virus, ovvero l’enzima 3CL. Se Pfizer dovesse riuscire a raggiungere l’obiettivo potrebbe avere un trattamento non solo per Sars-Cov-2, ma anche per i futuri virus pandemici.

L’antinfiammatorio Baricitinib

Baricitinib, un antinfiammatorio orale, che sulla base dei risultati di uno studio pubblicato su New England Journal of Medicine, era già portato all’autorizzazione per l’uso di emergenza della Fda in specifiche popolazione di pazienti.

Un recente studio ha evidenziato una riduzione significativa della mortalità per qualsiasi causa entro il 28esimo giorno tra i pazienti trattati con 4mg giornalieri di questo farmaco, più lo standard di cura, compresi corticosteroidi e remdesivir.

Un risultato netto, che si spera di ottenere con un ampio studio italiano, a cui parteciperanno una trentina di centri. Il farmaco verrà contrapposto e confrontato con Remdesivir e cortisone.

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